Di Redazione PW83
-Codice Review fornito da Electronic Arts
-Versione Testata: Xbox Series X
-Disponibile per: Xbox Series X|S, PlayStation 5, PC (Steam)
Bioware torna alla carica con il quarto capitolo della mitica saga di Dragon Age. Riuscirà a riconquistare il suo posto nell’Olimpo degli RPG?
Lasciatecelo dire, recensire questo Dragon Age: The Veilguard è stato un incubo, una sequela infinita di bozze, cancellazioni e riscritture, ed ora vi spiegheremo il perchè. A differenza di giochi come Dragon’s Dogma II infatti, dove fondamentalmente l’unica cosa in cui speravamo era che Capcom, dopo più di due lustri di silenzio assoluto, annunciasse qualcosa, e intendiamo letteralmente qualsiasi cosa, per Dragon Age la situazione era decisamente più…spinosa.
Come avete potuto constatare leggendo il nostro speciale, infatti, adoriamo il capitolo originale della saga, al punto da considerarlo parte della nostra personale Santissima Trinità Degli RPG, composta da Dragon’s Dogma II, Baldur’s Gate III e, appunto, Dragon Age: Origins. Il problema arriva quando si prende in esame il come si è sviluppata la serie RPG di Bioware mano a mano che venivano pubblicati gli episodi successivi. Innanzitutto una premessa: Dragon Age Awakening, nonostante fosse venduta come stand-alone, per noi rimane una espansione del titolo originale, e non un capitolo a sé stante. Ad ogni modo, Dragon Age II non ci piacque nemmeno un po’, con la sua trama convoluta ed estremamente focalizzata, insieme al suo peculiare stile grafico fin troppo stilizzato (un punto sul quale torneremo fra poco, fidatevi), e Dragon Age: Inquisition ci lasciò perplessi, con il suo repentino cambio di stile, più simile ad un MMO che non ad un RPG Single-Player vero e proprio, unitamente ad una eccessiva ed inutile “imbottitura” con il solo scopo di allungare il brodo. Capite bene quindi come per noi, il prospetto di un quarto capitolo della saga fosse una prospettiva in egual misura elettrizzante e… terrificante. Bioware sarebbe finalmente tornata sui suoi passi, regalandoci un prodotto simile all’originale Origins, o avrebbe ancora una volta cambiato le carte in tavola, con un gioco a malapena riconducibile alle fondamenta costruite dal primo capitolo?

La risposta è… nessuno dei due. O meglio ancora, entrambe le cose. Riusciamo ad immaginare le vostre espressioni perplesse, ma lasciateci spiegare. Veilguard è sicuramente un titolo che fa un passo indietro rispetto alle bizzarrie di Dragon Age II ed Inquisition, ma allo stesso tempo, non fa quasi nulla per entrare nei confini del primo. E’ un gran bel gioco di ruolo, ma non è un Dragon Age particolarmente memorabile. Capiamo come anche dopo questa breve spiegazione i vostri dubbi rimangano, ma siamo sicuri che quando questa recensione sarà finita, avrete capito cosa intendiamo. Ora, come di consueto, andiamo a vedere la trama che farà da pretesto per le vostre avventure in Veilguard.
La trama di Dragon Age: The Veilguard si svolge grossomodo dieci, quindici anni dopo gli eventi di Dragon Age: Inquisition e del suo epilogo, Trespasser (che, lo ricordiamo, uscì sotto forma di DLC). Gli agenti dell’Inquisizione Varric Tethras e Lace Harding hanno rintracciato il loro ex compagno d’armi Solas, il famigerato Lupo Temibile dell’antico mito elfico, nella capitale di Tevinter. Solas sta tentando un rituale per abbattere il Velo che circonda il mondo per “ripristinare” ciò che è stato perso, anche se farlo causerà una catastrofe che potrebbe benissimo porre fine all’ intero Thedas. Nel tentativo di fermare le sue macchinazioni, chiedono aiuto alla maga detective di Tevinter, Neve Gallus, e a Rook, ovvero il vostro personaggio. Per un’immersione completa del giocatore, l’aspetto, l’identità di genere (si comincia…), la razza, la classe, l’origine narrativa e la voce di Rook saranno completamente personalizzabili in un dettagliato processo di creazione del personaggio prima di lanciarsi nella prima missione. Ad ogni modo, le cose non vanno come previsto per i nostri eroi e presto, antichi dei elfici corrotti minacciano tutto e tutti. Rook si ritrova quindi a diventare il leader de facto del gruppo, radunando un gruppo di personaggi eclettici e variopinti per aiutarli nella loro ricerca. Riuscirà il neo-nominato Veilguard a scacciare il caos e salvare il Thedas? Tante prove, tribolazioni e scelte difficili attenderanno Rook e i suoi compagni.

Al centro di ogni grande gioco di ruolo, e specialmente del mitico Dragon Age: Origins, ci sono il mondo di gioco e i suoi personaggi. A questo proposito, The Veilguard è sulla buona strada con una trama intrigante che esplora attentamente regioni del Thedas a cui in precedenza si faceva riferimento solo nella mitologia della serie. Potrete quindi finalmente visitare il Tevinter, una località menzionata abbastanza ampiamente nei precedenti titoli di DA, insieme ad aree come Nevarra e Rivain, che si erano solo intraviste nei capitoli precedenti. Ogni regione in The Veilguard ha una portata e una profondità impressionanti in termini di mitologia. Anche le relative leggende, storie e antefatti ottengono più esposizione, offrendo nuove intuizioni e rivelando affascinanti aggiunte al mito del Thedas insieme a verità nascoste. Abbiamo anche trovato le varie fazioni di ogni luogo, come i Saltatori del Velo di Arlathan o i Corvi di Antiva, pienamente realizzate ed esplorate abilmente. Il nostro Rook faceva originariamente parte dei Custodi Grigi (impossibile per noi essere altro, considerato quanto amiamo DA: Origins) e il modo in cui le sue origini si intrecciavano nella trama attraverso opzioni di dialogo e riferimenti è impressionante. Abbiamo anche apprezzato il fatto che saltuariamente, durante la nostra partita, il nostro Rook potesse parlare del suo background da Custode Grigio con altri PNG facenti parte della stessa fazione, amplificando la sensazione di avere un vero e proprio background.
E’ una cosa oggettivamente meravigliosa, ma è anche qualcosa che verrà immediatamente controbilanciata da una scrittura generale veramente bizzarra. La trama di Dragon Age: The Veilguard è fondamentalmente sconnessa, abbastanza prevedibile, e senza il carico emotivo che dovrebbe sostenere un gioco simile. Non è minimamente paragonabile a ciò che un gioco di Dragon Age dovrebbe essere, con veramente poca della passione che muoveva la BioWare di una volta. Ogni volta che godevamo di qualcosa, relativamente alla trama, venivamo immediatamente riportarti alla realtà da qualcosa che ci demoralizzava, faceva imbestialire, o semplicemente ci faceva alzare un sopracciglio. E’ come se Veilguard fosse stato scritto da diverse persone, con diverse idee, e poi si sia buttato tutto in un calderone sperando che ne uscisse qualcosa di buono. Il risultato? Manca della caratterizzazione e dell’inventiva che hanno contraddistinto i giochi precedenti. La scrittura è palesemente superficiale, priva di profondità e sfumature. È una storia goffa che manca di sottigliezza, arguzia e intuizione, in grado di trasmettere le sue idee solo attraverso forti vocalizzazioni alla telecamera. Bioware ha costruito una tensione incredibile (è pur sempre in gioco il destino del mondo) ma in modo…banale, come se non sapesse inventarsi qualcosa di più autentico e fosse troppo spaventata dall’ essere davvero provocatoria o troppo cupa per paura di mettere a disagio il pubblico. Ma nel 2024, tutti sono a disagio, indignati, oppure offesi per qualcosa, giusto? A tal proposito, durante il gioco avevamo l’impressione che il team di scrittori fosse continuamente costretto a fare un check di ogni voce riguardante il “politically correct” attualmente in vigore sul web e che questa fosse la preoccupazione maggiore.

Passando a note decisamente più positive, i personaggi che incontrerete e recluterete saranno senza dubbio interessanti. Magari non al livello del roster di Origins, ma sicuramente meglio di quelli visti in DA2. Scopriamoli assieme. Lace Harding che viene promossa a membro attivo del gruppo dopo il suo debutto come NPC in Inquisition è una cosa gradita ed ha anche senso, e per di più è simpatica come sempre. Neve Gallus è una strenua paladina degli oppressi nella zona più povera di Dock Town della capitale del Tevinter con un approccio analitico alla maggior parte delle cose che abbiamo molto apprezzato. Bellara è un’elfa Saltatrice del Velo adorabile, con i suoi modi frizzanti e la sua inclinazione a sperare nel meglio in ogni situazione. Emmrich è il negromante più gentile e cortese che ci sia mai capitato di incontrare in un videogioco, Davrin è un Custode Grigio che sposa in pieno gli ideali dell’ordine, pur spinti in una situazione per cui non è preparato. Taash è un/a cacciatore/trice di draghi Qunari in conflitto con la sua identità che mostra comprensione e rispetto per le magnifiche e potenti creature alate. Il temuto assassino Lucanis convince con una personalità meravigliosamente affascinante, osservazioni ponderate e un amore sconfinato per il caffè. Anche il maggiordomo scheletro di Emmrich, Manfred, e il giovane grifone Assan sono mascotte uniche.
Ciò in cui Dragon Age: The Veilguard riesce narrativamente è nelle storie dei singoli personaggi e nei legami generati tra il cast principale. La diversità tra i membri della Veilguard è un punto di forza indiscutibile, con i suoi background, motivazioni e personalità variegati che consentono punti di vista diversi. I conflitti tra il team sono gestiti in modo intelligente, poiché ognuno è abbastanza maturo da comprendere, imparare e supportarsi a vicenda mentre affrontano i propri problemi (anche se il vostro personaggio, Rook, sembra sempre che si stia rivolgendo a una squadra di calcio under 12 o che stia insegnando ai bambini come condividere i giocattoli senza litigare). Ogni personaggio avrà un suo filo conduttore personale, e affrontarlo sarà importante per aiutare a garantire che il peggio tra i molteplici potenziali finali non si verifichi. Le battute e le altre scenette tra i personaggi sono fantastiche nel far sentire il gruppo molto più come una squadra che trascorre effettivamente il tempo insieme, molto meglio dei precedenti giochi della serie, anche se le storie individuali sfortunatamente non si intrecciano quasi mai.

Il problema però è il modo in cui svilupperete le relazioni con questi personaggi: lo stesso che avete già visto in Origins, Mass Effect, Mass Effect 2, Mass Effect 3 e via discorrendo. Chiacchierando con i membri del vostro party, portandoli con voi in missione e facendo loro regali aumenterete l’affinità. Questo farà sì che si aprano nuove missioni secondarie e personali, e via dicendo. Non è finita, perchè durante queste missioni, vi verrà data la possibilità di flirtare con il tal personaggio. Mano a mano che procederete nel gioco, sia tramite le missioni principali che quelle secondarie, se continuerete a fare i civettuoli, alla fine il vostro interesse amoroso cederà. Come abbiamo già detto, è fondamentalmente la stessa, identica cosa che abbiamo visto in letteralmente qualunque altro prodotto Bioware (escluso Anthem, ma continuiamo a pensare che non sia mai esistito). Certo, ha funzionato e sicuramente funziona anche oggi, ma siamo dell’idea che forse sarebbe ora di inventarsi qualcosa di nuovo.
Ora che abbiamo stabilito che la trama non è granchè ma i personaggi che la vivranno sono fantastici, andiamo a vedere un altro punto fondamentale: il gameplay. Il combattimento in Veilguard finisce per essere una curiosa amalgama che non è del tutto sicura di cosa voglia essere. Il gioco sarà al 100% action poiché i giocatori potranno controllare completamente solo Rook, che sarà poi affiancato da due compagni che combatteranno autonomamente con l’occasionale richiesta di attaccare nemici specifici o usare un’abilità. È un sistema principalmente guidato da combo di attacchi corpo a corpo regolari o pesanti e attacchi a distanza per tutte le classi, con entrambi gli elementi disponibili in varietà regolare e caricata, così come schivate o difese a tempo. Nonostante questa attenzione ancora più pesante all’azione, ci sono anche alcuni sistemi RPG relativamente profondi con cui sperimentare, in particolare quando si tratta di build e progressione dei personaggi, ma la semplificazione di tutto elimina gran parte degli ostacoli e della sfida strategica che hanno dato alla serie il suo carattere.

In definitiva è un gameplay veloce e perfettamente competente, e viene fornito con un set molto flessibile di opzioni di difficoltà che i giocatori possono regolare. Le opzioni di difficoltà assicurano che i giocatori di tutte le abilità e stili possano trovare un equilibrio che funzioni per loro, e la vasta gamma di altre opzioni di accessibilità merita assolutamente di essere celebrata. Tuttavia, il ridotto impatto dei compagni significa che le pianificazioni strategiche sono gravemente indebolite, se non borderline inesistenti. Gli incontri regolari diventano rapidamente noiosi poiché si svolgeranno tutti allo stesso modo, con il gioco che fa eccessivo affidamento sulle build dei personaggi piuttosto che sulla progettazione degli incontri e sulle decisioni tattiche del momento. Gran parte della sfida sembra essere semplicemente basata sul lancio di distrazioni o sul creare scompiglio con la telecamera del gioco. I pochissimi incontri interessanti con i boss semplicemente non sono sufficienti per superare la monotonia che costituisce la maggior parte delle battaglie. Noi ammettiamo che ad un certo punto, intorno alle 35 ore di gioco, abbiamo impostato la difficoltà su “Cantastorie”, la più facile. Non tanto perchè avessimo problemi a progredire, ma semplicemente perchè dopo il milionesimo scontro, tra l’altro con nemici decisamente poco variegati… non ne potevamo più.
Ora, abbiamo evitato di parlarne fino a questo momento, non possiamo più procrastinare: l’aspetto artistico di Veilguard. Nel tentativo di voler dare alla serie di Dragon Age una sua impronta più personale, Bioware ha disegnato Veilguard con uno stile a metà tra il realistico e il cartoon, qualcosa non dissimile da una produzione Pixar o Dreamworks. Non è brutta di per sè, e anzi, a qualcuno piacerà da impazzire, ma siamo sicuri al 100% che a noi non è piaciuta. Semplicemente, cozza violentemente con quello che è (era?) per noi Dragon Age, ovvero un RPG cupo e dalle tinte forti ambientato in un contesto dark fantasy. Guardate Origins: dopo i combattimenti i personaggi erano coperti da schizzi di sangue, le tematiche affrontate erano mature, l’ansia del Flagello era costantemente ai bordi del campo visivo del giocatore, rendendola impossibile da ignorare. Il gioco, in virtù di ciò, aveva un aspetto desolato, con colori slavati, tristi, come se il gioco in sè avesse già perso le speranze al pensiero di affrontare il Flagello. Veilguard? L’esatto opposto. Ci sono due divinità pronte a distruggere il mondo, una terza imprigionata e furibonda pronta a fare forse anche peggio, e il gioco è talmente pieno di colori da far quasi male agli occhi: blu cobalto, rossi vivissimi, verdi scintillanti: sembra l’equivalente fantasy del Carnevale di Rio. Oh, a tal proposito, ricordate Isabela, da Dragon Age 2? Preparatevi. Questa cosa ci porta poi al discorso relativo agli aspetti veri e propri del gioco, e anche qui, personalmente non ci è piaciuto per niente questo nuovo corso. Prendiamo i Qunari, una razza presente sin dal primo capitolo e che non è mai riuscita ad avere una “forma” definita. In Origins, a causa delle limitazioni tecniche, erano semplicemente umani enormi. In DA2, probabilmente l’apice del design, erano energumeni grigiastri con un accenno di corna, minacciosi e coerenti con il concetto di razza dominatrice, dura, senza compromessi. In Inquisition parevano essersi decisi sul rappresentarli come minotauri con corna gigantesche e ora, in Veilguard, sono semplicemente ibridi umano/elfici, bluastri, con una fronte allungata e piccole corna ricurve, un design incredibilmente generico ed anonimo rispetto al passato.

Sfortunatamente, i Qunari non sono l’unico esempio di questo fenomeno. Anche il design della Prole Oscura è peggiorato con ogni gioco. È un fenomeno sconcertante. La direzione artistica e i design di Dragon Age: Origins erano forse un po’ anonimi, ma funzionavano. Era il dark fantasy alla lettera. Con Dragon Age 2, la direzione artistica, i design e lo stile si sono evoluti in qualcosa di un po’ più unico. Poi con Dragon Age: Inquisition, la serie ha traslato più nell’high fantasy che il dark fantasy. Non tutti i fan furono entusiasti della scelta, ma la serie mantenne comunque un livello di unicità e una parvenza di linee guida. Con il quarto capitolo, la serie è regredita: il punto di partenza era un dark fantasy generico, e in qualche modo siamo arrivati all’ high fantasy ancor più generico nel corso di soli tre giochi, ma oggi, non solo Veilguard continua a risultare generico, senza realizzare nulla, ma non sembra nemmeno più Dragon Age.
Fortunatamente a livello sonoro, The Veilguard ha un forte impatto. Il duo di compositori formato da Hans Zimmer e Lorne Balfe, senza sorprese, fornisce un’eccellente colonna sonora che sa esattamente come aumentare l’eccitazione, la tensione e l’emozione dove necessario, facendo un ottimo uso di temi familiari per tutto il gioco. La performance di Alex Jordan come una delle quattro opzioni vocali per Rook è fantastica e contribuisce notevolmente a dargli la giusta credibilità come protagonista principale. Il resto del cast è ugualmente solido, fornendo un eccellente arazzo per abbinare la variazione tra loro e offrire pienamente quella sensazione di legami forgiati dal fuoco. Alcune performance sono un po’ più forti di altre, ma tutte contribuiscono all’esperienza complessiva.

Prima di chiudere, vogliamo farvi un ultimo esempio per farvi capire come e quanto sia cambiato Dragon Age in termini di atmosfera, nel passaggio da Origins a Veilguard. Avrete notato che abbiamo menzionato più volte i Custodi Grigi, durante questa recensione. Questo perchè in Origins, la trama prevedeva che diventaste parte dell’Ordine. Ebbene, l’iniziazione a tale Ordine prevedeva di bere il sangue di Prole Oscura, un processo finalizzato a rendere gli eventuali Custodi più in sintonia con la Corruzione e l’Arcidemone. Questo rituale però comportava un rischio di morte altissimo, oltre che a una durata della vita estremamente ridotta (ecco perchè viene spiegato che i Custodi sono principalmente composti, oltre che soldati, anche da ergastolani, criminali, ed altra feccia simile). In Origins, tre candidati si sottopongono al rituale. Il primo muore dopo aver bevuto il sangue, tra spasmi incontrollabili e dolori terribili. Il secondo, scosso da una tale visione, prova a scappare, ma viene ucciso a sangue freddo da Duncan, comandante dei Custodi. In Veilguard, non vedrete nulla di neanche lontanamente paragonabile ad una scena del genere: l’intero, spaventoso background dei Custodi viene menzionato in una striminzita pagina di un menu, e durante una missione specifica, in cui vedrete un “Calice dell’Unione” recante la descrizione “Proveniente da Ostagar, Ferelden”. Fine. Unitamente allo stile grafico, l’idea percepita è che Veilguard sia una versione molto blanda, “per tutte le età”, di Dragon Age.
Tirando le somme va detto che, nonostante tutte le critiche che si possono muovere a Dragon Age: The Veilguard, non c’è niente di oggettivamente disastroso, e anche il discorso sul design di poco fa può essere visto come soggettivo. Il gioco comunque è divertente sul momento e il cast è degno di nota. Tuttavia, ecco il vero problema: non fa nulla di disastroso ma nemmeno qualcosa in maniera eccellente, il design può piacere o non piacere. Tutto è lì, nel mezzo, senza una reale identità. Anche il combattimento è reso blando e banale da una mancanza di varietà e strategia nei suoi incontri, mentre le location hanno poco che le renda memorabili al di fuori della loro premessa generale. Pensiamo che sia questo il problema maggiore di Veilguard.
E’ un gioco… conflittuale. Non è Dragon Age Origins, ma non è nemmeno Dragon Age 2, e neppure Inquisition. Nemmeno Veilguard sa cosa vuole essere. Al di là dell’aver generato un polverone mediatico per motivi che non vogliamo toccare nemmeno con un bastone (l’inclusività, la polemica woke, la comunità LGBTIAQ+ ecc.: non abbiamo assolutamente NULLA contro questi concetti e anzi, siamo decisamente pro, ma siamo anche dell’idea che i videogiochi non siano il medium giusto per trattare certi argomenti), abbiamo paura che Veilguard, semplicemente, non verrà ricordato. Questa è la cosa peggiore, specialmente dopo dieci anni di attesa: abbiamo provato con tutte le forze ad amare questo gioco, specialmente in virtù del fatto che prima di essere giornalisti siamo giocatori e per di più fan della saga, ma Cupido non è riuscito a colpirci.
POWER RATING:
7.8/10
“Dragon Age: The Veilguard è un gran bel gioco di ruolo, con gran parte delle sue features che svolgono il loro dovere più che decentemente e che regaleranno tante ore di divertimento. Il problema però, è che pur essendo un buon RPG, per noi non è un buon Dragon Age.”
PRO:
+ Ottimo roster di personaggi, scritti ottimamente
+ Il comparto audio è superlativo (OST, doppiaggio)
+ Il nuovo gameplay action funziona
+ Finalmente possiamo visitare parti di Thedas mai viste
CONTRO:
– Atmosfera generale totalmente aliena ai precedenti capitoli
– Manca di identità
– Trama sconnessa
– I combattimenti vi annoieranno molto velocemente
– Dove sono gli spadoni a due mani?!





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