Di Redazione PW83

-Codice Review fornito da Aspyr Media
-Versione Testata: Xbox Series X

-Disponibile per: Xbox One, Xbox Series X|S, PlayStation 4, PlayStation 5, Nintendo Switch, PC (Steam, GOG)

Aspyr torna alla carica con il remaster della seconda trilogia dedicata a Lara Croft!

Adoriamo quando gli sviluppatori fanno le cose a modo. Che si tratti di programmazione o pubblicazioni, ci piace vedere le cose iniziare e finire, esattamente come nel caso di questo Tomb Raider IV-V-VI Remastered, seconda parte della esalogia iniziata l’anno scorso con il bellissimo Tomb Raider I-II-III Remastered, di cui potete leggere la recensione cliccando sul link. Oggi, sei mesi dopo il lancio della prima metà, possiamo giocare i tre titoli che hanno chiuso le avventure della Lara “originale”, ovvero prima (fate attenzione) del primo reboot della serie avvenuto nel 2013.

Questa seconda trilogia rimasterizzata copre i giochi un po’ più di nicchia delle avventure originarie della bella Lara, quelli avvenuti dopo il boom mediatico che ha reso la prosperosa esploratrice un fenomeno di culto, quelli conosciuti anche (ed uno nello specifico ne è il primo sospettato) per essere i colpevoli di avere affossato l’intera serie sino a farla cadere nell’oblio per ben dieci anni. Parliamo di Tomb Raider: The Last Revelation, Tomb Raider: Chronicles, e (perdonateci, ma sentiamo un brivido gelido ogni volta che lo pronunciamo/scriviamo) Tomb Raider: The Angel of Darkness.

Affrontare questi giochi da un punto di vista giornalistico è stato sicuramente una esperienza interessante, fondamentalmente perchè in tutta onestà sono giochi che, già all’epoca, avevamo giocato, completato e “messo sullo scaffale”, senza più degnarli di uno sguardo (e, ancora una volta, uno nello specifico lo abbiamo volutamente dimenticato). Ad ogni modo, storicamente parlando, e Lara Croft stessa è in parte ormai una figura storica, in soldoni potremmo valutare i giochi presenti in questa collection con, rispettivamente: “abbastanza buono in realtà”, “piuttosto buono” e “notoriamente terribile”. Questo però non ha granché importanza, a differenza di quello che potreste pensare. Le rimasterizzazioni sono certosine come lo erano con i primi tre giochi e, sebbene la ricompensa per il vostro sforzo questa volta non siano tre classici senza tempo, è qualcosa di presumibilmente altrettanto interessante. Stavolta vi metterete in casa rispettivamente una stranezza, un errore parziale ed uno dei giochi più tristemente famosi di tutti i tempi: in tutti i casi, giochi che erano in qualche modo a rischio di essere dimenticati.

Il lavoro di rimasterizzazione compiuto dai ragazzi di Aspyr continua a fare piccoli miracoli. Ancora una volta troverete i classici controlli “tank” originali o controlli moderni per Lara, entrambi con la consapevolezza che, mentre i primi potrebbero richiedere molto tempo per essere capiti nuovamente, i secondi non sembrano mai del tutto giusti. Come abbiamo già spiegato nella precedente recensione, questo è perché Lara si è sempre mossa all’interno di una griglia nei giochi Core e i nuovi controlli sembrano leggermente fuori sincrono. Ci sono stati alcuni ritocchi, però. Abbiamo trovato un po’ più facile eseguire il salto laterale tipico di Lara con i controlli moderni rispetto ai primi tre giochi. In tutti i casi, basterà un po’ di adattamento qua e là e tutti e tre i giochi saranno completamente giocabili, il tutto mantenendo quella bella, esotica sensazione del “giocare come una volta”.

Ora, guardando velocemente a quello che è stato incluso in questa collection: torna la modalità foto e potrete anche passare dalla grafica originale a quella aggiornata con la semplice pressione di un pulsante. Lo abbiamo fatto costantemente mentre giocavamo, perché volevamo vedere come appare questa o quella statua ora, o forse come appariva allora. La nuova grafica fa un ottimo lavoro nell’aggiornare ogni gioco mantenendo quel je ne sais quoi classico. Una curiosità: al di là del voler vedere come cambiavano i due motori grafici in tempo reale, le parti più difficili del gioco le abbiamo giocate al 90% in modalità classica. Il motivo? E’ più luminosa. La nuova modalità grafica rimasterizzata infatti, ha la tendenza a mostrare il mondo di gioco in maniera un po’ più cupa, un po’ più scura, e onestamente, non essendo più giocatori “di primo pelo”, ogni tanto questo ci metteva in difficoltà. Non solo. Le versioni originali avevano quella strana parvenza dei giochi da PS1: vagamente astratta, stilizzata… sarà la nostalgia, sarà quello che volete, ma per noi rimane ancora qualcosa di sublime.

Oh, prima di passare a cose più tematicamente appropriate, vogliamo anche menzionare che The Last Revelation include un livello bonus che una volta era stato regalato con il quotidiano The Times, e che da noi non è ovviamente mai arrivato: anzi, a dire la verità, nemmeno sapevamo che esistesse qualcosa di simile. Una delizia per appassionati! Dopo aver chiarito queste cose, possiamo passare a ciò che importa davvero: Come sono invecchiati questi giochi?

The Last Revelation è un gioco che ci ha sempre affascinato. Non era solo il quarto gioco, era il primo Tomb Raider a trascorrere la maggior parte del tempo in un singolo paese, e quel paese era l’Egitto. Avrebbero potuto chiamarlo Tomb Raider: Egypt e nessuno avrebbe avuto da obiettare, ma capite bene come un sottotitolo sensazionalistico come “L’ultima rivelazione” abbia un impatto decisamente differente (“Accipicchia, non solo è una rivelazione, ma addirittura l’ultima! L’ULTIMA!”). Ad ogni modo, questo concetto è ancora una prospettiva favolosa, e la troviamo ancora profondamente evocativa e intrigante. Core Design riuscì a far sembrare le sue tombe davvero antiche TR:TLR e, se ci pensate, è un po’ la premessa alla base del tutto. Stiamo pur sempre parlando di un gioco intitolato “Razziatore di Tombe”, non “Giramondo Investigatore” o chissà che altro. La sensazione di solitudine e di profonda immersione è quasi tangibile, così come quella di lavorare attivamente alla soluzione di un enigma più grande con ogni singola leva attivata o porta aperta: il level-design di The Last Revelation è oggettivamente fantastico.

Passando a Tomb Raider: Chronicles, rimaniamo dell’idea che sia un capitolo decisamente più difficile da amare rispetto a The Last Revelation, anche se all’epoca non ci colpì in maniera particolarmente negativa. Oggi, possiamo dire con certezza che Chronicles a conti fatti non è poi così male, ma non è neanche uno dei capitoli migliori. Chronicles dà l’idea, più che altro, di essere il lavoro di un team brillante (Core Design) che fa la stessa cosa da troppo tempo, inizia ad averne vagamente le pa…le scatole piene e che probabilmente sta pensando solamente a quando potrà andare in vacanza. Quindi, invece di essere in un’unica location estesa come l’Egitto di The Last Revelation, avremo una serie di episodi che vedono Lara nel corso della sua carriera mentre va alla ricerca di questo o quell’artefatto. Non è una pessima idea di per sé, e abbiamo visto come anche nella prima Trilogia Lara viaggi per il mondo, il punto è che Chronicles è zeppo di sezioni stealth dove Lara deve infiltrarsi in vari edifici e schivare i laser, e purtroppo è anche pieno di sparatorie. Il problema? Saremo onesti, ma chiunque sa che il sistema di combattimento dei vecchi Tomb Raider… ha sempre fatto schifo, per dire le cose come stanno.

Infine, eccoci arrivati al momento che temevamo maggiormente, ovvero The Angel of Darkness. Via il dente, via il dolore: il problema più grande quando uscì erano i controlli. Attenzione: se sceglierete per qualche motivo masochistico di utilizzare lo schema “tank”, saranno ancora davvero terribili. Lara sembra immersa nella melassa, tanto è lenta da muovere, mentre i salti sono più complicati di una volta e gli ambienti più elaborati sono praticamente pieni di cose su cui incastrarsi. I controlli moderni lo rendono molto più giocabile, ma nonostante quello che sembra un aumento di velocità, la lentezza e la pesantezza rimangono. In breve: The Angel of Darkness è ancora orribile da giocare. Ci spiace.

Il punto però è un altro. Sarà orribile da giocare, ok, ma è anche interessante e molto più diverso di quanto ci ricordassimo. The Angel of Darkness inizia nelle zone più squallide di Parigi con un serial killer a piede libero e Lara che si muove nei budelli della città mentre viene inseguita dalla polizia. All’inizio questa sequenza introduttiva non aveva molto senso a livello di tono: dove sono le cascate che hanno qualcosa di bello dietro di loro, le navi affondate e i teatri dell’opera? La risposta è da ricercarsi nel quando è uscito The Angel of Darkness, ovvero i primi anni 2000. Non era più l’era cinematografica brillante, umoristica e colorata di Indiana Jones, ma l’era di film come Se7en, Fight Club, American History X, film cupi, quasi senza speranza. Questo si riflesse in tanti giochi di quel periodo. Ecco quindi come i tetri vicoli e la cupa colonna sonora iniziano improvvisamente a sommarsi e ad avere, che ci crediate o meno, una parvenza di senso.

Tuttavia, questo cambio di tono porta anche The Angel of Darkness ad avere una crisi di identità da cui non riesce a riprendersi. Questo è il primo gioco Core Design in cui non si ha la minima sensazione di essere in una tomba. Ci sono un sacco di idee molto belle: Lara che insegue dei dipinti, una passeggiata high-tech attraverso il Louvre, saltare da un appartamento all’altro mentre si è inseguiti da un elicottero e via dicendo. Ci sono anche un sacco di idee in generale: le abilità di Lara si evolvono in base a un sistema totalmente insensato le cui macchinazioni sono difficili da prevedere e possono quindi portare a momenti in cui si rimane completamente bloccati. Lara potrà inoltre addossarsi ai muri e guardare dietro gli angoli come Solid Snake o Sam Fisher, c’è l’introduzione del combattimento corpo a corpo e una barra della resistenza per l’arrampicata. Addirittura ambienti semi-aperti in cui Lara interagisce con le persone in conversazioni e sceglie le risposte usando un sistema a scelta multipla. The Angel of Darkness aveva un sacco di idee. Davvero un sacco. Troppe, onestamente. Ma avere troppe idee e fare fatica con quelle con cui si ha sempre lavorato, in una sorta di contorta elucubrazione, può rendere un gioco quasi amabile con il passare del tempo, in particolare quando il problema principale (i comandi) è stato risolto. Da fan di Tomb Raider, quindi, questo è sia il capitolo più giocabile che quello meno coinvolgente della serie. È una sensazione bizzarra, ma siamo felici di averlo riscoperto.

Tirando le somme, questi tre giochi non sono quelli che vedono Lara Croft al suo apice, ma sono comunque stati curati come se lo fossero, che a conti fatti è esattamente quello che una buona rimasterizzazione dovrebbe fare. E in certi momenti, come sempre accade con questa serie, brillano ancora.

POWER RATING:
8.5/10
“La seconda trilogia di Tomb Raider rimasterizzata da Aspyr si conferma come un lavoro eccezionale: magari i titoli contenuti non saranno storicamente importanti come i primi tre, ma rimangono comunque prodotti più che validi e, soprattutto, interessanti. Da avere.”


PRO:
+ Tecnicamente ottimo
+ Tre giochi sicuramente molto interessanti
+ Possibilità di passare istantaneamente dalla versione moderna a quella originale
+ Gameplay old-school: difficile ma gratificante

CONTRO:
– Il sistema di controllo “moderno” purtroppo non ci ha convinto

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