Di Redazione PW83
-Codice Review fornito da Devolver Digital
-Versione Testata: PlayStation 5
-Disponibile per: PlayStation 5, PC
-Sviluppatore: Cuzzillo/Boch/Foddy
-Publisher: Devolver Digital
Baby Steps è la storia di un disoccupato, fallito, rifiuto della società che, improvvisamente, scopre di essere in grado di… camminare. No, sul serio.
Ci sono giochi che sfidano la gravità, altri la logica. Poi c’è Baby Steps, il titolo che sfida la nostra pazienza, il nostro senso del ridicolo e, in ultima analisi, la nostra autostima come giocatori. Sviluppato da Gabe Cuzzillo e Maxi Boch con il tocco malvagio di Bennett Foddy (il genio dietro Getting Over It e QWOP), questo non è un semplice videogioco, ma un esperimento sociale mascherato da simulatore di camminata. Al centro di questo pantano di frustrazione e slapstick c’è Nate, il nostro antieroe. Nate è la perfetta rappresentazione della pigrizia moderna: un millennial disoccupato, senza ambizioni, la cui vita consiste nel consumare pizza e TV (anime, nello specifico, e One Piece tra tutti) dal divano. Senza un motivo apparente, né un preavviso, Nate viene catapultato in un mondo surreale, avvolto dalla nebbia, un paesaggio montano che ricorda una strana fusione tra un’escursione post-apocalittica e la copertina di un album progressive rock. Qui, in una grotta umida e desolata, Nate scopre o riscopre la capacità di mettere un piede davanti all’altro. Il setting è un Isekai al contrario: non un eroe che scopre un mondo fantastico con poteri straordinari, ma un fallito che deve imparare l’abilità più banale, quella di camminare.
La narrazione, per quanto esile e volutamente demenziale, è il carburante che alimenta l’assurdità del viaggio. I dialoghi sono un concentrato di umorismo cringe, battute sul corpo e interazioni imbarazzanti che sfiorano il cattivo gusto. Il gioco sembra fatto apposta per essere trasformato in meme e in clip virali su piattaforme come TikTok e Twitch, dove la sofferenza del creator è direttamente proporzionale al divertimento dello spettatore. Questa è una delle chiavi di lettura fondamentali: Baby Steps è stato progettato per la fruizione collettiva e non per il piacere solitario. Quando si incontrano gli NPC, come il bizzarro Jim, le interazioni sono spesso surreali e inutili, un non-sense che amplifica il disagio del protagonista e, per estensione, del giocatore. La scrittura, pur nella sua idiozia, mantiene una coerenza stilistica e tematica con il fallimento meccanico. Il mondo aperto, benché visivamente suggestivo in alcuni scorci, è essenzialmente un labirinto di ostacoli dove il level design serve un unico, crudele scopo: farci cadere e ricominciare.

La Meccanica della Caduta: Un Passo nel Masochismo
Il cuore pulsante di Baby Steps non è la storia, ma il suo sistema di controllo basato sulla fisica che gestisce la camminata di Nate. Questo è l’aspetto che lo lega indissolubilmente alla filosofia del “simulatore di frustrazione” di Foddy. Camminare in Baby Steps non è automatico: il giocatore deve controllare singolarmente ogni piede. Con il controller, i due grilletti dorsali (L2 e R2 su PS5) sono assegnati rispettivamente al sollevamento del piede sinistro e destro. Una volta che il piede è sollevato, la levetta analogica destra controlla il baricentro e la traiettoria del passo. Sembra facile sulla carta, ma il risultato è un’esperienza intenzionalmente goffa e punitiva. Un passo troppo lungo, una pressione ritardata del grilletto, un baricentro sbilanciato su una superficie irregolare, e Nate crollerà a terra con il ragdoll più esilarante e umiliante che si possa immaginare.
La fisica del corpo è allo stesso tempo ridicolmente realistica e volutamente buggata. Il peso morto di Nate, l’inerzia, e la fluttuazione del baricentro su rocce scivolose o tronchi d’albero creano un ciclo infinito di fallimento. Questa meccanica, che Foddy aveva promesso non sarebbe stata impossibile come QWOP, si rivela più difficile perché costringe il giocatore a pensare a ogni singola azione motoria. Ogni passo è una decisione tattica che richiede concentrazione e precisione. Il sistema non è incoerente, ma spietato: funziona esattamente come è stato progettato, con una coerenza interna che premia la pazienza meticolosa e punisce la fretta e la presunzione. Questo è il genio perverso del gameplay: il giocatore non può biasimare un bug, ma deve prendersela con la propria mancanza di coordinazione e nervi saldi.
La Frustrazione Catartica: Dal Rage Game alla Meditazione
Definire Baby Steps semplicemente un rage game sarebbe limitante, anche se la rabbia è una componente fondamentale dell’esperienza. Il gioco è un vero e proprio simulatore di resilienza e, per alcuni, una forma involontaria di meditazione. La difficoltà non è tanto nell’eseguire un singolo passo, quanto nel mantenere la calma dopo la quarantesima caduta che riporta Nate alla base di una salita faticosamente conquistata. Foddy, con la sua esperienza, sa che l’impossibilità di progresso è la fonte primaria del divertimento per il pubblico esterno. Per il giocatore, tuttavia, la gratificazione che ne deriva è altrettanto intensa. Ogni metro conquistato, ogni tronco superato senza cadere, non è un semplice avanzamento nel gioco, ma un trionfo personale, una piccola vittoria contro la propria inettitudine e la crudeltà degli sviluppatori.
Un elemento che acuisce questa sensazione è l’assenza di un vero sistema di salvataggio facile. Il gioco registra ogni singolo frame, un sistema che impedisce al giocatore di imbrogliare uscendo e ricaricando dopo un capitombolo disastroso. Se cadete da un’altezza considerevole, ripartirete dal punto di controllo precedente, e il tempo speso per arrivare fin lì sarà irrimediabilmente perduto. Questa punizione senza appello è la firma del design. Richiede al giocatore non solo di giocare bene, ma di accettare il fallimento come parte integrante del processo. Per i masochisti digitali, o per chi cerca una sfida al limite della sopportazione, questa dinamica crea un legame viscerale con Nate e con la sua impresa assurda. Il giocatore impara a rispettare il terreno, a sentire il peso del proprio avatar e a pianificare il passo successivo con una cautela quasi zen.

Lo Stile Visivo e Sonoro: La Bellezza nell’Assurdo
Nonostante la sua natura da indie game di nicchia, Baby Steps non sfigura sul piano estetico. Il design visivo è minimale ma efficace, utilizzando ampi spazi aperti, una nebbia costante che nasconde l’orizzonte (e forse nasconde anche il level design meno rifinito), e un’illuminazione sapiente, specialmente quando Nate utilizza la sua lanterna nelle aree più buie. Ci sono scorci, come i campi fioriti o le vette innevate, che possiedono un loro certo fascino surreale, anche se questo potenziale visivo è costantemente soffocato dalla prospettiva del prossimo capitombolo. Il design amplifica la sensazione di solitudine e di disorientamento di Nate in questo mondo-meme.
Il vero colpo di genio, spesso trascurato, risiede nel comparto sonoro. La colonna sonora dinamica è una creazione geniale e bizzarra. È composta, in gran parte, da suoni ripetuti, versi di animali e battiti percussivi che si adattano e si trasformano in base al ritmo della camminata di Nate, o alla sua imminente caduta. Quando Nate inciampa, il beat si spezza; quando barcolla in equilibrio, i suoni creano una tensione ritmica palpabile. Questa interazione tra sound design e gameplay è una mossa audace che contribuisce in modo decisivo all’atmosfera: rende la camminata non solo un atto fisico, ma anche una performance musicale bizzarra e imprevedibile.

Oltre il Meme: È Davvero un Videogioco?
La domanda che accompagna Baby Steps dalla sua anteprima è sempre la stessa: è un gioco con uno scopo, o è solo un meme vestito da videogioco? La risposta sta nella sua coerenza brutale. Non offre una trama profonda, non ha un combat system complesso nel senso tradizionale del termine, e l’esplorazione di questo open world (che è in realtà un lungo e tortuoso sentiero di montagna) è intenzionalmente atroce e priva di gratificazione. Non c’è un tesoro alla fine della salita, se non la soddisfazione catartica di esserci riusciti.
Tuttavia, l’innovazione meccanica è innegabile. Il sistema di controllo delle gambe, benché frustrante, è preciso e risponde con estrema fedeltà agli input del giocatore. Il gioco si basa sul principio di competenza lenta e dolorosa: non si diventa subito bravi, ma si migliora gradualmente, e questa evoluzione è percepibile ad ogni passo andato a buon fine. In questo senso, Baby Steps è un gioco di abilità pura mascherato da commedia demenziale. Il gioco ha un forte potere interpretativo: per alcuni è una critica nichilista alla generazione passiva (Nate), per altri è un’ode al progresso personale (il cammino), per la maggior parte è solo un oggetto da deridere e guardare su Twitch. Ma il fatto che possa generare tutte queste reazioni lo rende un’opera polarizzante e irriverente, difficile da ignorare. È il tipo di titolo che ti costringe a fare i conti con la tua tolleranza alla frustrazione.
POWER RATING:
8.0/10
“Baby Steps è un simulatore di camminata estenuante e folle, che si pone come erede spirituale dei rage game di Bennett Foddy. Il sistema di controllo innovativo e punitivo crea una frustrazione genuina, ma anche una soddisfazione immensa ad ogni ostacolo superato. L’umorismo cringe e l’assenza di checkpoint lo rendono un’esperienza più adatta allo streaming che al gioco solitario, ma è un capolavoro di design coerente nella sua brutalità assurda.”
PRO
- Gameplay innovativo basato su una simulazione fisica della camminata meticolosa.
- Sensazione di progressione e soddisfazione estrema dopo ogni successo.
- Sound design dinamico e surreale che si integra perfettamente con il gameplay.
- Umourismo demenziale e cringe che funziona come ottimo materiale da meme.
CONTRO
- Difficoltà punitiva e assenza di salvataggi facili che allungano l’esperienza.
- Esplorazione frustrante in un open world dove ogni passo è un calvario.
- Un’esperienza che rischia di logorare più che divertire nel lungo periodo per i non masochisti.





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